San Bartolomeo Apostolo

Il primitivo impianto di questa antica chiesa era più lungo dell’attuale ma, durante la ristrutturazione urbanistica seguita al terremoto del 1915

Data di pubblicazione:
28 Dicembre 2021
San Bartolomeo Apostolo

Un luogo di culto doveva già esistere qui nel III sec. a. C., quando la casa in cui Eufemia e suo figlio Cirillo avevano ospitato Restituta - giunta a Sora per predicare la religione cristiana, poi martirizzata e acclamata patrona della città - fu trasformata in sede di assemblee e più tardi in chiesa; di una fase più antica resta traccia in una monofora (fig. 1) e nella netta differenza tra la quota interna e il livello stradale. Nel medioevo si effettuarono necessari lavori di restauro, sostenuti economicamente con i proventi di un contratto enfiteutico nel 1273 e di un lascito nel 1363.

Nel Seicento l’edificio fu rinnovato secondo lo stile baroccheggiante dell’epoca per impulso di Cesare Baronio (Sora 1538 - Roma 1607), storico della Controriforma e futuro cardinale. Il suo legame con la chiesa e la sua confraternita è testimoniato dalla presenza della tomba di sua madre Porzia Febonia, ricordata dall’epigrafe sepolcrale incassata nella navata di sinistra (fig. 2), e dal dono di un prezioso Cristo crocefisso (figg. 3-4). L’opera, collocata dal 1989 nell'emiciclo absidale e restaurata nel 2009, rappresenta una tappa fondamentale dell’irraggiamento della cultura controriformista nel ducato di Sora già nella seconda metà del Cinquecento e segna un punto di arrivo nella scultura in legno per l’accurato realismo, l’aderenza al testo evangelico e alla tradizione storica, evidenziata dalla scelta della corona di spine che imita la mitria dei re giudei.

In legno, con perizoma in tessuto dipinto e corona in rovo vero,  l’opera era stata realizzata a Roma da un allievo di Daniele da Volterra, come testimoniano le lettere scritte dal Baronio nel 1564, ma la critica tradizionalmente ne attribuisce la paternità a Tiberio Calcagni, allievo e forse aiuto di Michelangelo, già attivo nella bottega artistica presso la chiesa di San Giovanni dei Fiorentini e l’attigua congregazione di San Filippo Neri, frequentate dal Baronio; la mancanza però di opere certe del Calcagni rende impossibile una attribuzione certa, anche se non ci sono dubbi sulla matrice  michelangiolesca dell’opera.

Risalgono alla prima metà del ‘700 l’affresco della cupola con una scena della Cacciata degli angeli ribelli dal Paradiso (fig. 5), i riquadri del tamburo del presbiterio e del soffitto con le allegorie delle virtù cardinali e teologali e immagini di santi in gloria, opere del pittore arpinate Paolo Antonio Sperduti.

L’ edificio, allora lungo circa 20 metri, restò immutato fino al terremoto del 1915 e alla completa ristrutturazione del 1927 quando fu dimezzato per ampliare e rettificare il corso Volsci; le cappelle delle navate laterali da otto si ridussero a due e la facciata fu completamente ricostruita.

Nella cappella della navata destra oggi si può ammirare la tela raffigurante la Madonna del Divino Amore, opera di Sebastiano Conca della prima decade del sec. XVIII, confrontabile con la Madonna del Bello Amore conservato nella chiesa di San Bonaventura al Palatino. Ai lati della porta centrale, una tela secentesca raffigurante una Madonna in gloria con san Carlo Borromeo e san Nicola di Bari (fig. 6) e un quadro raffigurante la Deposizione di Cristo (fig. 7); a sinistra dell’altare maggiore, sopra la porta d’ingresso alla sacrestia, un quadro raffigurante i santi Cosma e Damiano. Nell’archivio parrocchiale si conservano una lettera autografa del Baronio del 1596, un contratto di enfiteusi del 1273, due reliquiari di legno dorato della prima metà del sec. XVII, donati dalla duchessa Costanza Boncompagni, e il Registro dei nati in cui, il 24 luglio 1901, è annotato il battesimo, nella vicina chiesa di San Giovanni Battista, di Vittorio De Sica (fig. 8).  

(A cura della Prof.ssa Alessandra Tanzilli)

 

Ultimo aggiornamento

Mercoledi 05 Aprile 2023