Nel centro di Sora si estende un complesso formato da un pregevole palazzo tardo-barocco (fig. 1), un tempo monastero dei Conventuali, impostato sulle fondazioni in opera poligonale di una domus risalente al I sec. a. C., e dalla chiesa intitolata a San Francesco che, secondo la tradizione locale, sarebbe sorta per il passaggio di Francesco nella regione durante il suo cammino verso l’Egitto nel 1219, ma più verosimilmente costruita tra il XIII e il XIV secolo quando i minori francescani conobbero il sostegno della monarchia napoletana.
La certezza della presenza dei Minori a Sora è fornita dal Bullarium Franciscanum, risalente al biennio 1334-1335, e da una sentenza del 1354. La chiesa, a quel tempo, pur avendo lo stesso sviluppo planimetrico attuale, era molto più bassa; nel 1363, per disposizione testamentaria di Cecco de Omnibene, fu devoluto un lascito con cui fu realizzato l’ampliamento dell’edificio secondo gli orientamenti dell’architettura gotica, di cui resta la pregevole bifora a doppia ogiva (fig. 2) scandita da tre colonnine corredate da capitelli a crochets e basi ad anello in cui si individua una testina di monaco, riconoscibile dalla cocolla che ne contorna il volto (fig. 3), confrontabile con le finestre dell’abside della chiesa di San Lorenzo Maggiore a Napoli; dello stesso periodo le sette monofore laterali, altre simili e simmetriche finestre nel lato occidentale e una lunetta di portale su mensole sgusciate e scolpite con una foglia d’acqua e con un piccolo giglio, emblema della casata degli Angiò (fig. 4).
Alla fine del XV secolo furono costruite la cappella con l’affresco della Madonna in trono con sant’Antonio da Padova, san Leonardo, san Biagio e san Bonaventura da Bagnoregio, opera di maestro abruzzese attivo nella seconda metà del secolo XV (figg. 5-8), la cappella della Madonna della Misericordia (fig. 9), ritratta nel gesto proteggere sotto il suo mantello due gremite compagini di fedeli in preghiera rappresentative della società urbana di tardo ‘400, tra cui alti prelati, una coppia di regale condizione e donne e uomini del popolo genuflessi. L’affresco è forse attribuibile a Lattanzio da Rimini, autore d’immagini devozionali fra gli anni Novanta del Quattrocento e i primi anni del ‘500.
Della trasformazione in stile tardo-barocco dopo il sisma del 1654 e soprattutto fra gli anni compresi tra il 1683 e il 1727 restano l’innalzamento delle murature perimetrali e il restauro radicale della facciata della chiesa, monumentalizzata dal fastigio barocco, dall’alto zoccolo in pietra e dalla decorazione di paraste e lesene ed impreziosita dal portale sagomato; altre opere imponenti interessarono il palazzo conventuale, la costruzione dell’elegante campanile in pietra locale nel 1709 e di statue in stucco di sette personaggi biblici, e cioè Isaia, Aronne, Mosé, Salomone, Geremia, Daniele e Davide, simbolici delle virtù cardinali e teologali (figg. 10-16). Risalgono al XVIII secolo l’olio su tela di scuola napoletana del Cristo in croce (fig. 17), il quadro della Sacra Famiglia (fig. 18) e il dipinto ad olio collocato nella parete sinistra dell’abside e raffigurante la Visione di san Francesco, opera del 1712 attribuibile a Giacomo Del Po (fig. 19).
Dopo un periodo d’interdizione al culto della chiesa durato fino al 1808, l’edificio fu ufficialmente riaperto di nuovo al culto. Risalgono al secolo XIX le decorazioni interne, la dotazione di statue di santi e la fusione di una campana, l’altare in marmi policromi di scuola napoletana, una tempera murale raffigurante la Madonna col Bambino, e numerose statue in legno dipinto. Dello stesso secolo sono le decorazioni della volta a crociera del presbiterio, mentre al secolo successivo risalgono alcuni arredi della chiesa e i lavori di restauro delle volte e della pavimentazione.
Nel giorno festivo di Sant’Antonio, il 17 febbraio e il 13 giugno, si distribuisce tra i fedeli un quintale di pane benedetto; presso la cappella di San Biagio (fig. 20), nella ricorrenza del santo taumaturgo il 3 febbraio, c’è invece la tradizionale unzione della gola.
(A cura della Prof.ssa Alessandra Tanzilli)